
La notte che, in un colpo, consacrava l’Inter campione d’Europa per la terza volta ed al contempo certificava un Triplete unico per il football di casa nostra e leggendario agli occhi dell’intero Continente: un’insonne nottata di allegria e caroselli in cui i piedi carioca di Julio Cesar, numero dodici sulla schiena ma numero uno per vocazione, un istante prima del fischio di chiusura ebbero l’onore di toccare l’ultimo pallone della gara e, quindi, diedero il via ufficiale ad un’inarrestabile festa attesa quarantacinque lunghi anni. Un gioioso delirio cominciato sul terreno e sugli spalti del “Bernabeu”, intensamente propagatosi in piazza Duomo e per le vie di tutta Milano, deliziosamente conclusosi a San Siro in una maestosa alba dai contorni hollywoodiani che, calando metaforicamente il sipario sulla stagione maggiormente bella ed emozionante della saga nerazzurra, dava l’esatta dimensione dell’impresa compiuta dalla compagine sapientemente allenata da Josè Mourinho: una formazione che, da almeno tre annate a quella parte, aveva nel ragazzone di Rio de Janeiro uno dei migliori estremi difensori al mondo per esplosività, efficacia, sicurezza, stile sobrio e agilità. Doti che erano però ancora sconosciute al grande pubblico allorché, prelevata dal glorioso Flamengo praticamente a costo zero, nel luglio 2005 la saracinesca sudamericana giunse all’ombra della Madonnina accompagnata dalla fama di oggetto misterioso in precedenza parcheggiato, senza disputare un solo match, per sei mesi in prestito al Chievo: una claque di saccenti e avvelenati giornalisti ironizzò dunque immediatamente su tale acquisto, quasi fossero invidiosi del fatto che il non asservito mister Roberto Mancini avesse potuto liberamente decidere di attingere dalla scuola verdeoro – una scuola, parlando di portieri, storicamente spesso poco apprezzata e competitiva – il futuro guardiano della rete interista. Pur con qualche iniziale alto e basso eccessivo dovuto principalmente al fisiologico periodo d’ambientamento, e per merito anche di una meticolosità fuori dal comune nello studiare gli attaccanti avversari, Julio non ci mise molto a confermare la felice e coraggiosa intuizione del Mancio: mettendosi alle spalle un certo Francesco Toldo con la stessa facilità con cui gli juventini passano le estati in tribunale, s’impadronì prontamente della porta del Biscione e si lanciò ben presto alla caccia della maglia titolare della Nazionale, sottratta al milanista Dida e tenacemente desiderata sin da quando quei pali erano custoditi dal suo idolo, e abile para-rigori come lui, Claudio Andrè Taffarel.
Nonostante la spiccata attitudine a neutralizzare i tiri dagli undici metri, l’affidabile estremo difensore brasiliano – trentatré anni il prossimo 3 settembre e un non più sostenibile stipendio pari a circa cinque milioni di euro netti a stagione – quest’estate non ha però potuto in alcun modo evitare la ferma volontà del club meneghino nel volerlo avvicendare con il ventottenne Samir Handanovic, il tutto nell’ottica di una politica societaria giustamente improntata all’inserimento di giocatori dalla maggior gioventù e dal minor peso retributivo che, una volta calatisi appieno negli intriganti schemi di Andrea Stramaccioni, possano con soddisfazione sostituire i calciatori ceduti oppure quelli destinati a esserlo (vedasi appunto in tale contesto anche gli intelligenti arrivi dei vari Silvestre, Pereira, Gargano e Palacio, oltre che il prezioso riscatto di Guarin). Un corposo restyling tecnico maturato forse con ventiquattro mesi di ritardo e che non può ovviamente recare con sé l’assoluta garanzia di riuscire ad ottenere trionfi già a stretto giro, ma innegabilmente saggio e, se salvaguardato da repentini cambi di allenatore in corso d’opera e cautamente arricchito dal talentuoso quanto irrequieto valore aggiunto di Antonio Cassano, senza dubbio promettente. Un “anno zero” a cui Julio Cesar, il portiere più vincente della storia nerazzurra grazie ai dodici trofei che ha concretamente contribuito a conquistare nelle 300 gare disputate con la casacca della Beneamata, non potrà purtroppo prendere parte: avesse tempo fa accettato la proposta di spalmarsi l’ingaggio, tuttavia, probabilmente oggi avrebbe ancora a disposizione l’armadietto ad Appiano Gentile e il suo apporto in termini di carisma ed esperienza sarebbe sicuramente potuto risultare utilissimo alla graduale ricostruzione di una possibile nuova Inter da sogno. Strano il fato: proprio Julio, “Acchiappasogni” per scarpiniana definizione, invece non ci sarà.
(Articolo pubblicato il 30/08/2012 sul sito www.fcinternews.it)
Julio Cesar Soares Espindola
Nato a Rio de Janeiro (Brasile) il 03/09/1979
Portiere
All’Inter dal 2005 al 2012
Totale presenze-gol: 300-0
Vittorie: 5 scudetti (2005/’06, 2006/’07, 2007/’08, 2008/’09, 2009/’10), 3 coppe Italia (2005/’06, 2009/’10, 2010/’11), 2 Supercoppe italiane (2008, 2010), 1 coppa Campioni (2009/’10), 1 Mondiale per Club (2010)