
Sin da giovanissimo, quando qualcuno gli domandava cosa avesse voluto fare da grande, la risposta del ragazzo cresciuto nel quartiere Palermo Viejo era sempre la stessa: il calciatore. Nato e vissuto per il calcio, l’attuale mister degli etnei non è mai riuscito a concepire la vita senza allenamenti, partite, schemi: una dolce ossessione che lo ha accompagnato dagli esordi con la maglia del Velez Sarsfield e, prima e dopo Milano, nelle esperienze con Pisa, Siviglia, Atletico Madrid, Racing Avellaneda e Lazio. Lazio alla quale è legato l’unico trofeo conquistato in nerazzurro dal risoluto mediano sudamericano, ovvero l’emozionante coppa Uefa 1997/’98 vinta nella finale di Parigi contro la squadra capitolina: un secco e spettacolare 3-0 per gli uomini di Gigi Simoni che andò a lenire l’amaro in bocca per uno scudetto indegnamente andato ad una Juventus che nell’arco di tutto il torneo aveva beneficiato di tantissime, e spesso clamorose, sviste arbitrali a proprio favore. Lazio in cui, ad un anno dalla straordinaria ed inebriante notte transalpina, Simeone approdò per riprendersi ciò che dodici mesi addietro una frustrante lotta impari gli aveva impedito di ottenere: su precisa indicazione del neo tecnico dell’Inter Marcello Lippi, che pretese la riconferma di un Paulo Sousa già promesso al club biancoceleste come parziale contropartita all’interno dell’affaire-Vieri, il “Cholo” venne infatti ceduto alla compagine romana che si sarebbe poi laureata campione d’Italia a danno della società bianconera (la quale, a riprova dell’immutato “stile” ed al termine dell’ennesima stagione fallimentare, anche nel recente restyling del sito web si è impunemente distinta per noncuranza di sentenze definitive e albi d’oro ufficiali). Una cessione ritenuta necessaria da Lippi e molto probabilmente pure da qualche dirigente del Biscione, che presentò all’allenatore viareggino l’immagine di un giocatore attaccabrighe e nemico dichiarato di Ronaldo soltanto perché Diego, da professionista serio e di carattere quale ha perennemente dimostrato d’essere, tempo prima aveva comunicato allo stupito fuoriclasse brasiliano di non gradire il trattamento eccessivamente privilegiato di cui, a differenza dei compagni, godeva il centravanti carioca.
La nazionalità di Helenio Herrera, l’ambizione di Roberto Mancini, la leadership di Josè Mourinho: i tre mister più decorati della gloriosa storia nerazzurra fusi in un’unica, energica personalità. Quella di un uomo inevitabilmente destinato – anche in virtù della buona conoscenza dell’ambiente interista che ne agevolerebbe certamente il lavoro – a giungere un giorno alla guida degli attuali iridati, quella di un preparato tecnico capace di conquistare due campionati argentini (nel 2006 con l’Estudiantes e nel 2008 con il River Plate) praticamente da debuttante, quella di un indomito mediano orgoglioso d’aver pronunciato parole come “lo ripeto sempre ai miei figli: ho giocato nella squadra più bella del mondo e non è la Lazio con cui ho vinto lo scudetto, ma quella dove giocavo prima”. Frase valorosa alla stregua della scelta fatta da Leonardo nel momento in cui, sulla leggendaria scia dei soci fondatori della Beneamata, ha deciso di svestire l’abito rossonero per abbracciare con la solita eleganza i colori del club nobile, e fortunatamente mai capitanato da gente volgare tipo Gattuso, di Milano. Pure per questo, oltre che per aver tenuto pienamente in corsa su tutti i fronti sino ad aprile una formazione che aveva esaurito stimoli ed entusiasmo già a Natale, il rampante e signorile allenatore di Niteroi merita di poter disputare almeno una stagione dall’inizio alla fine. In attesa che l’ex totem dell’Albiceleste Simeone, dopo un adeguato percorso sulle generalmente arroventate panchine del Belpaese, possa in futuro tornare definitivamente a casa.
(Articolo pubblicato il 18/05/2011 sul sito www.fcinternews.it)
Diego Pablo Simeone
Nato a Buenos Aires (Argentina) il 28/04/1970
Centrocampista
All’Inter dal 1997 al 1999
Totale presenze-gol: 85-14
Vittorie: 1 coppa Uefa (1997/’98)