
Javier Adelmar Zanetti detto “El
Tractor” o più semplicemente “Il Capitano”, ragazzo argentino dal volto pulito
e dai capelli perennemente in ordine che in una gara casalinga di campionato contro
il Vicenza di esattamente diciannove anni fa andava a fare il suo debutto
ufficiale con la maglia della Beneamata, è stato il simbolo per eccellenza di
un’intera generazione d’interisti. Quella travolgentemente innamoratasi, ai
tempi delle scuole elementari, della formazione granitica e vincente di mister
Trapattoni. Quella che, passata ad incendiare i banchi delle scuole medie con
la propria ardente fierezza nerazzurra, iniziava a conoscere le apprezzabili
doti del neo arrivato Javier ma parallelamente
osservava delusa gli indigesti trionfi dei compagni di svago rosso-bianconeri. Quella
frequentante le scuole superiori mentre Zanetti&c. si vedevano clamorosamente
soffiare sotto il naso due scudetti, in circostanze perlomeno cupe, dalla
Juventus dei futuri radiati dirigenti Giraudo e Moggi: una generazione diventata
adulta riempiendosi gioiosamente gli occhi con le fantastiche giocate dei
diversi fuoriclasse acquistati dal presidente Massimo Moratti ma anche
fastidiosamente le orecchie con il borioso e avvilente coro avversario “non vincete mai”, emblema per
antonomasia di un sinistro periodo in
cui l’inquieta gente interista era spesso beffata da fragorosi quanto inverosimili
errori arbitrali ed al contempo derisa, quando ancora certi fatti di cronaca
giudiziaria potevano rientrare solo nell’ambito dei sospetti e certe
attesissime risposte tardavano volontariamente a pervenire, da chi quegli
stessi arbitri, guardalinee e designatori si sarebbe successivamente scoperto
essere in grado di manovrare ad hoc. Una generazione che una volta imboccata la
via del mondo del lavoro, nel momento in cui le braccia oggi perfettamente
oliate del Capitano cominciavano a sollevare un trofeo dopo l’altro sino a ergersi
progressivamente campione di tutto, ha però poi meritatamente ottenuto la migliore
delle rivalse: sette consecutive stagioni caratterizzate da quindici titoli e un
mix gaudentemente esplosivo di gremite ed elettrizzanti feste di popolo, notti
felicemente insonni, storici rivali alle prese con seri e imbarazzanti problemi in materia sia sportiva che legale, leggendarie
imprese quasi inimmaginabili e orgogliose bandiere ripetutamente sventolanti
per le strade, allo stadio e fuori dalle finestre di casa.
Una generazione sempre pronta,
nelle fasi di sofferenza come in quelle di giubilo, ad esserci a prescindere e
a trasmettere passione alla squadra ed al suo vigoroso e generosissimo numero
quattro, un valoroso jolly dai dribbling a perdifiato e dalla forza devastante giunto
ventiduenne a Milano dal piccolo Banfield nell’estate 1995 con le sole
scarpette da calcio messe in una borsa di plastica a fargli da bagaglio ed il collega
di viaggio albiceleste Sebastian “Avioncito” Rambert (giovane attaccante frettolosamente
spacciato per asso, ma ben presto ceduto in quanto rivelatosi meteora di doti
modeste): giacca beige, camicia turchese, cravatta vagamente pittoresca e
sciarpa nerazzurra che recitava “esserci da protagonisti” nel giorno della
presentazione ufficiale alla Terrazza Martini al cospetto del monumentale Giacinto
Facchetti, del quale, non soltanto per il sorriso gentile e mai stanco e per il
maniacale taglio di capelli equilibrato che ne hanno delineato il marchio di fabbrica, Javier in seguito si sarebbe
dimostrato il legittimo erede. Legittimo erede del grande Cipe, tuttora il
biglietto da visita più confacente e luminoso della saga dell’Inter, per qualità
in comune tipo l’eterna fedeltà – perpetuamente vista come scelta e non come
sacrificio – palesata ad un vessillo e a determinati ideali, per le splendide
virtù agonistiche da prode maratoneta ribaltafronte, per la moralità priva di
macchia, per la professionalità da dieci e lode esibita con quotidiana umiltà,
per l’ardita tenacia e la lealtà antica, per la considerevole abnegazione spesa
pure nel dar forma ad opere di solidarietà fuori dal campo (doveroso citare la
Fondazione PUPI creata assieme all’amata moglie Paula, fiabesca partner di vita
da quando El Tractor era un ragazzo di diciannove anni, a sostegno della disagiata
infanzia abitante le zone maggiormente povere d’Argentina) e per l’atavica
voglia di vincere senza tuttavia prevaricare l’avversario, cui ha sempre donato
e da cui ha sempre ricevuto estremo rispetto. Come accaduto al Facchetti non
più giocatore, appunto, Zanetti è oggi in procinto di diventare la persona in
grado di rappresentare degnamente il Biscione dinanzi alle alte sfere e in ogni
angolo del globo: la recente nomina a vicepresidente della società meneghina,
unita nel frattempo allo studio della lingua inglese da affiancare alle già
conosciute spagnolo ed italiano, è probabilmente da intendersi in tale
direzione. Una direzione che si spera possa sfociare in quell’autorevole
braccio destro della proprietà, che in Corso Vittorio Emanuele manca
tremendamente dal 2006, al quale affidare il fondamentale incarico in sede di
politica sportiva.
Cuore nerazzurro, indole pacata e
riflessiva, prestigio internazionale, lunga e gloriosa esperienza sul rettangolo
verde da mettere a disposizione, capacità di trovare la parola giusta al
momento giusto: un compito che pare cucito su misura per le peculiarità
costantemente mostrate dalla primissima operazione di mercato targata Massimo
Moratti – patron che aveva rilevato l’Inter dalle mani di Ernesto Pellegrini
nel febbraio 1995 e che, subito dopo aver ratificato un accordo sottoscritto da
Pellegrini stesso con l’attaccante Maurizio Ganz, fece di quel giovane esterno sudamericano
già nel giro della Nazionale la prima pietra della sua gestione nonché l’unico calciatore
che lo avrebbe scortato attraverso tutti i suoi diciotto emozionanti anni di
presidenza – che sin dalle iniziali recite con la casacca del Biscione cominciò
a scatenare dagli spalti convinti commenti d’indubbio apprezzamento. Quel numero
quattro cresciuto nel modesto quartiere Dock Sud della nativa Buenos Aires, che
con le proprie cosce di marmo solcava ininterrottamente la fascia destra senza
quasi provare fatica e a cui era pressoché impossibile staccare il pallone dai
piedi, apparve all’istante un acquisto azzeccato. Un affare concretizzatosi
grazie alla segnalazione dell’ex centravanti Antonio Valentin Angelillo, che un
notturno Moratti seduto col figlio davanti al videoregistratore immediatamente
avallò con entusiasmo e che per diciannove stagioni consecutive avrebbe
garantito alla Beneamata un atleta dal rendimento assolutamente disciplinato, puntuale,
ammirevole ed eclettico, in grado di ricoprire con profitto una marea di ruoli (terzino
destro e sinistro, centrocampista centrale, ala destra e sinistra, esterno ed interno
di centrocampo) secondo la filosofia del “credo
che il principale dovere di un giocatore sia quello di mettersi al servizio
della squadra” spesso ripetuta da Javier e che sovente traccia il confine
tra ottime individualità e campioni, categoria quest’ultima per gente alla
Zanetti. Categoria che un giorno i sostenitori interisti si augurano possa
annoverare anche il nuovo capitano Andrea Ranocchia, talentuoso difensore che
dell’ex compagno argentino non potrà già avere il carisma costruitosi in anni
di spogliatoio ma che ha sicuramente l’umiltà, il culto per il gruppo e la
professionalità necessarie per divenire un esempio da seguire.
Un modus operandi che per quasi un
ventennio è stato stabilmente incarnato dall’odierno recordman di presenze nerazzurre
– 858 gare totali disputate, arricchite da un bottino di 21 reti realizzate –
capace di conquistare a Milano la bellezza di sedici titoli, più di qualunque
giocatore che, in oltre un secolo di blasonata storia, abbia mai indossato la maglia
del Biscione: cinque scudetti, quattro coppe Italia, quattro Supercoppe
italiane, una coppa Uefa (il primo alloro, vinto nella finalissima parigina
1997/’98 grazie pure ad un suo spettacolare gol), un Mondiale per Club ed una
Champions League, orgogliosamente sollevata al cielo nella epica nottata
madrilena e poche ore dopo anche al cospetto dell’alba radiosa ed
indimenticabile di un San Siro inebriantemente vestito a festa. Una dorata ed
encomiabile carriera passata altresì, però, per momenti non facili come il
probabilissimo addio all’Inter con destinazione Real Madrid sfiorato ad inizio
millennio e fortunatamente sventato in extremis da Moratti (la medesima e
paternalistica persona che, onde evitare spiacevoli sorprese indonesiane in
stile Ivan Cordoba, lo scorso maggio ne ha rapidamente preannunciato la
vicepresidenza), come l’esclusione dai Mondiali 2006 e 2010 e gli zero trofei
vinti con la casacca della Selecciòn malgrado un curriculum impreziosito da ben
145 presenze, come le sciocche dicerie mormorate da taluni (in concomitanza, ovviamente,
di risultati opachi) sul fantomatico “clan degli argentini” capeggiato da Javier
che ogni cosa disponeva dentro e fuori le mura di Appiano Gentile, come la
rottura del tendine d’achille a trentanove anni, come l’onestà repentinamente
dipinta alla stregua di una virtù da fessi sia prima che dopo l’esplosione
dello scandalo “Calciopoli”, definito tempo fa da Zanetti “una macchia enorme e una figuraccia per il calcio italiano agli occhi
di tutti, che incredibilmente c’è ancora qualcuno che tenta di negare”. Una
carriera agonistica conclusa ufficialmente tre mesi fa sul terreno del Chievo, a
distanza di una settimana dalla suggestiva serata contro la Lazio in cui i suoi
tifosi hanno voluto “esserci da protagonisti” per riavvolgere metaforicamente
in circa un paio d’ore un nastro lungo diciannove stagioni, andando a gonfiare
l’aria del “Meazza” di sperticati cori, lacrime ed applausi per l’adorato e
coraggioso Capitano di una generazione. Il minimo che si potesse fare per
celebrare un eroico oplita classe 1973 nato nella magica notte di San Lorenzo, quella
capace a volte di far sognare anche in assenza delle agognate stelle cadenti, divenuta
inconsapevolmente ancor più magica in un pomeriggio di sole di ventidue anni e
diciassette giorni dopo. Nella vita di molti uomini ci sono date che ne
cambiano la storia, che la segnano a tal punto da farla mutare in un’altra
storia. Il 27 agosto 1995 è stata forse una di queste date.
(Articolo pubblicato il 27/08/2014 sul sito www.fcinternews.it)
Javier Adelmar Zanetti
Nato a Buenos Aires (Argentina) il 10/08/1973
Centrocampista
All’Inter dal 1995 al 2014
Totale presenze-gol: 858-21
Vittorie: 5 scudetti (2005/’06, 2006/’07, 2007/’08,
2008/’09, 2009/’10), 4 coppe Italia (2004/’05, 2005/’06, 2009/’10, 2010/’11) 4
Supercoppe italiane (2005, 2006, 2008, 2010), 1 coppa Campioni (2009/’10), 1
coppa Uefa (1997/’98), 1 Mondiale per Club (2010)